Giampiero Pizzol – Giuseppe il falegname


Giampiero Pizzol - Giuseppe il falegname

Se Dio l’ha scelto come padre deve essere un tipo in gamba.
E se Maria lo ha scelto come sposo allora si tratta davvero di un uomo straordinario.
Dunque chi è Giuseppe? Chi si nasconde sotto l’aspetto di un semplice falegname di Nazaret?

Un discendente di Davide che vive insieme a Gesù molto di più dei più fedeli apostoli, parla con gli angeli, siede a tavola con Dio? Che cosa ha visto, ascoltato, sognato? Come ha insegnato, faticato, combattuto?

La nostra storia è un sentiero di parole che ha il sapore delle avventurose ballate medievali e ci conduce per le strade della Palestina alla scoperta di questo oscuro e splendente falegname, di questo padre di famiglia e maestro d’arte, un uomo che ha il senso della realtà e la dignità di un re.

Con i suoi occhi vediamo i misteri più alti divenire meravigliose storie di questo mondo, fatte di legno e pietra, fatica e pensieri, nascita e morte, coraggio e fantasia, sudore e allegria.


PRESENTAZIONE di Roberto Filippetti

«Era caldo, fiorivano le rose, /parlammo quella notte per tre ore / seduti al buio sotto il firmamento /come due personaggi di un racconto. / Che cosa ci siamo detti? / Tutto». Così si conclude la quinta scena. Quattro endecasillabi, un settenario e infine quel verso brevissimo, quella piccola grandiosa parola: Tutto.
Giuseppe, il falegname, saputo che Maria era incinta, dapprima aveva dubitato, non aveva creduto; ma poi era tornato a porre la fiducia in Dio, vincendo l’inganno del Nemico, non lasciandosi accecare dall’ira, non offendendo e non cacciando di casa la sposa. La sua fede era rimasta accesa. È lo stesso arcangelo Michele che viene in sogno a investirlo: «Per ordine divino io ti dico / che sarai tu il custode del Fuoco».
E lui si sveglia, corre a bussare alla porta di Maria, e c’è quel lungo colloquio nel cuore della notte. Si dicono tutto.
Tutto. Questa mi pare la parola-chiave, la cifra piccola e grandiosa di Giuseppe il falegname. Giampiero Pizzol ci regala una pièce teatrale in forma di poema, che ha il respiro della totalità.

Dice tutto e lo dice a tutti, in una forma poetica che è per tutti, e che pertanto ne fa un’opera propriamente cattolica.
Un testo per tutti – ragazzi e adulti, indotti e laureati , ma a condizione che abbiano custodito un cuore bambino, pronto a lasciarsi provocare e stupire spalancandosi alla totalità.
Un testo dunque in-segnante, non a caso dedicato «ai padri e ai loro figli, agli operai e alle loro opere»; in particolare, direi, alla grande opera: all’avventura educativa. In famiglia, certo; ma anche in una scuola ove adulti autorevoli si rapportano ai giovani, trattandoli non da discepoli, ma da figli. Eloquenti, da questo punto di vista, le scene IX e X: nei quaranta giorni dopo il Natale a Betlemme, il falegname Giuseppe si muta in «maestro di una piccola scuola di montagna»: commosso dall’ignoranza di quei ragazzini figli dei pastori, ne affascina una dozzina e li educa all’arte dell’intaglio, mentre racconta loro le storie della Bibbia. Dato che lì tra i monti non ci sono scuole, comincia lui, «un falegname, / a mescolare legno e religione, / piantando chiodi a fare una lezione / di storia e geografia, / di disegno e di geometria». Il metodo: molta osservazione… quindi quei pastorelli intagliano splendidi agnellini.
«La vita è tutto un imparare, / più ci si dà da fare / più si sente il sapore / delle cose che stanno sotto il sole».
Il bambino Gesù aveva solo pochi giorni, ma già guardava e «sorrideva con due occhi fissi / a quei ragazzi / che segavano assi come pazzi. / Si sa che i neonati / sono incantati / a vedere giocare altri bambini, / o a sentire voci, versi, suoni, / ma Lui guardava tutti uno ad uno / come sapendo il nome di ciascuno».

Poi occorre fuggire in fretta da Erode e riparare in Egitto (verso il confine ci si imbatte in una banda di nomadi ladri. C’è lì un fanciullo gravemente malato che incontrando Gesù, guarisce. Si chiama Disma). È in quella terra straniera che il Bambino vive fino a sette anni, tutto osservando, tutto assimilando: «di tutto era curioso: anche una foglia, / un sasso, un uomo e la sua storia. / Aveva voglia / di vivere, ascoltare / le cose conosciute e sconosciute / sentirne il sapore. Era l’amore / a muovere Gesù, non più il sapere. / Tutto sua madre».
Il verso conclusivo fa il paio con un altro. Tornati in Palestina, Giuseppe sale al tempio, si adira perché lo vede trasformato in un mercato, viene addirittura arrestato. Anche Gesù un giorno caccerà via i mercanti: «Tutto suo padre».
L’uomo Gesù di Nazaret ha preso da quei due genitori, come ogni figlio d uomo.
Quando lo ritrova dodicenne tra i dottori del tempio, Giuseppe per un po’ lo spia da lontano, lo vede cresciuto all’improvviso. Poi si fa avanti a riprendersi il figlio. I dottori lo guardano ammirati e lui se ne esce con fine autoironia: «- Se il figlio ha un tale grado di sapienza, / il padre sarà un pozzo di scienza! – / Io alzando le spalle ho detto: – Sì, / in famiglia siamo tutti così… -».

Ecco: Giampiero Pizzol ti commuove e ti fa sorridere, fino alle ultime pagine, fino alla nascita al Cielo di Giuseppe, che si ammala e non vuole che il Figlio lo guarisca. Niente favoritismi: «Così gli ho chiesto di non far miracoli, / non voglio che nei secoli dei secoli / si dica che ha favorito la famiglia!».

Mi confida un’amica che ha letto il testo in anteprima: «Ciò che più mi ha colpito è come viene fuori nella storia l’umanità di Giuseppe, i suoi sentimenti nelle diverse tappe della vita; come emergono l’umanità e l’amore di Giuseppe verso Maria e la famiglia. In certi punti lo sguardo che ha verso Maria – proprio come la guarda – è veramente emozionante».

Giuseppe è un uomo vero, operoso, dolcissimo, ma anche irascibile. Un leader che non sopporta le ingiustizie e trova la strada ragionevole per sconfiggere i prepotenti senza mettere nei guai sé e gli altri operai.
Pizzol è scrittore colto che intarsia il poema con fitte evocazioni intertestuali, mai ostentate però, ma sempre fatte proprie e riplasmate. Se Giuseppe dice «mi sento un ombra», ci vedi la confessione di un debito di riconoscenza a L’ombra del padre di Jan Dobraczynski; se lui ripensa a Maria che lo spruzza d’acqua all’improvviso, tu rivedi quella memorabile scena di The Passion. Qua risenti un salmo, là un frammento di san Bernardo. Sotto l’apparente facilità di scrittura, ritrovi una robustissima conoscenza del mondo ebraico con tutte le sue feste religiose, della geografia di quelle terre, della topografia di Gerusalemme.

Pilastri strutturalmente portanti del testo sono i quattro sogni di Giuseppe, coi relativi angeli: Gabriele, Michele, Raffaele e infine l’angelo della morte. E di nuovo Pizzol ci sorprende con un’osservazione da psicanalista sul mondo onirico: «Chissà perche nei sogni ci si sente / più in colpa di quanto meritiamo / e a volte si odia ciò che siamo».

Ventisette scene in sequenza cronologica, con rari flashback (ad esempio il ricordo dello sposalizio), attraversate da fili celati in ordito che hanno il sapore dell’inno esultante: inno al legno ben lavorato; inno alla casa attentamente edificata dal carpentiere; inno all’acqua «nettare di Dio»; inno al fuoco, al «miracolo magnifico del fuoco»; inno al pane, al profumo del pane appena sfornato, e alla bellezza del “con-dividerlo”, quel pane (ovvero: bellezza della “com-pagnia”). E ancora inni, fino agli ultimi versi.

Il ritmo dominante è dato dall’endecasillabo e dal settenario, nel grande alveo della tradizione lirica italiana. Frequente la rima, spesso la rima baciata, la più “bambina”, dalla quale ruzzolano e saltellano grappoli di assonanze e consonanze, vero stilema del teatro in versi di Pizzol. Poi le similitudini, fresche e inusitate, colte al volo dall’esperienza reale: Maria «contenta / come una bambina in altalena»; «Maria mi guarda come fa la luna: / sorride lontana e silenziosa»; Abramo senza eredi, «solo come un martello senza chiodi».

Una poesia tutta cose, capace di cantare l’essenziale. Il Messia ha scelto noi: Giuseppe il falegname, e l’umile Maria. Ha deciso di nascere in questa nostra famiglia.
«Oh Madonna mia! / Questa è una follia!».
E questo è tutto.


L’AUTORE

Giampiero Pizzol si occupa di teatro come attore fin dagli anni ’70 ed è tra i fondatori dello storico Teatro dell’Arca e successivamente dell’ensamble Compagnia Bella. Come autore crea decine di opere originali per il teatro in prosa e in versi, monologhi e fiabe. Sul versante musicale ricordiamo l’opera A piedi scalzi, dedicata a Edith Stein e musicata da Alessandro Nidi, e diverse collaborazioni con Ravenna Festival insieme a Simone Zanchini, Daniela Piccati, Thomas Clausen e altri musicisti. Scrive inoltre canzoni con Cialdo Capelli, Carlo Pastori e la leggenda natalizia Quell’asino di un bue con Walter Muto (L’Ocallegra Edizioni).

Sul versante del cabaret, dopo aver vinto il premio Walter Chiari ’94, collabora con numerosi comici tra cui Paolo Cevoli e Maurizio Ferrini, partecipa alla trasmissione Zelig Off con il personaggio di Fra’ Godenzo da Montecucco, è ospite anche ad altri programmi Rai, mentre a teatro porta in scena la trilogia di commedie dedicate al personaggio del solitario Ottavio – Amamaz, Bagno di nozze, La fattoria dei vitelloni per la regia di Angelo Savelli del teatro Rifredi di Firenze -, seguite recentemente da Leardo e’ Re, una rivisitazione shakespeariana firmata da Giovanni Nadiani e Tinin Mantegazza.

Per il teatro ragazzi scrive oltre trenta fiabe teatrali per compagnie italiane e straniere. Ricordiamo Il lupo, cappuccetto e l’angelo per il Teatro dell’Arca, I tre porcellini per il Teatro d’Artificio, Puck storia di un folletto per la Filarmonica Clown, vincitore del Festival di Porto S. Elpidio, e I musicanti di Brema per Accademia Perduta/Romagna Teatri, vincitore del Premio ETI Stregatto 2004.

Cura il rapporto teatro-letteratura pubblicando libri come Occhiali da solo (Nuova Compagnia Editrice), La gazza ladra (Alta Marea), La leggenda di san Giorgio (D. U. Press) e quindi nella collana «Fiabe a teatro» dell’editore Giunti-Fatatrac: Il volo delle rondini, Un pizzico di sale, Il principe pittore, Ali di farfalle, La pecora arrabbiata. Per la casa editrice Itaca ha dato alle stampe: Turandot, Un uomo di nome Francesco, Antonio dei miracoli e, insieme a Laura Aguzzoni, il manuale di didattica Cinque+1. Il senso dei cinque sensi. Si occupa anche di educazione, tenendo corsi di formazione e collaborando con numerosi artisti tra cui il pittore Arcadio Lobato, illustratore delle storie di Maria Bambina («Piccole tracce»). La sua attività è legata al percorso artistico di Compagnia Bella.