A cura di don Paolo Sottopietra (superiore generale della Fraternità san Carlo)

Parlare di san Giuseppe richiede silenzio. Giuseppe, infatti, è stato posto da Dio più vicino di ogni altro uomo all’evento dell’incarnazione, nel suo inizio più segreto e privato.
Più vicino di ogni altro uomo al Figlio di Dio che si consegnava inerme alle mani degli uomini, completamente dipendente dalla loro accoglienza. Giuseppe è stato posto vicino alla Vergine, nell’intimità della sua casa, e reso familiare con i suoi pensieri, con la sua preghiera, con il suo modo di essere sempre e tutta in dialogo con Dio.
Di lui dobbiamo parlare con sommo rispetto, talmente delicato fu il suo compito.

Altezza e umiltà si fondono nella straordinaria vicenda umana di quest’uomo fino a formare un tutt’uno, un tratto che lo fa assomigliare alla sua sposa. L’incarico che ricevette da Dio fu infatti tanto vertiginoso quanto tutto ordinato alla dimensione della quotidianità.
Fu vertiginoso perché gli fu chiesto di collaborare alla chiamata più alta che sia mai stata rivolta a un essere umano, quella della maternità divina di Maria. Gli fu chiesto di essere considerato dagli uomini come il padre di Gesù, il quale venne effettivamente chiamato il figlio di Giuseppe. La sua fu una vocazione vertiginosa anche perché gli fu chiesto di unire verginità e vero amore sponsale per Maria.

La missione di Giuseppe si giocò però interamente in una quotidianità ordinaria e per lo più nascosta. Il significato della vita di Giuseppe è tutto legato ai trent’anni della cosiddetta vita privata di Gesù.
Oggi possiamo contemplare il valore universale della sua santità e venerarlo come patrono e protettore della Chiesa intera. Negli anni che passò sulla terra, tuttavia, quella stessa santità ebbe un raggio che potremmo definire domestico.
Certo, non dobbiamo immaginare la famiglia di Nazaret come un moderno nucleo a tre. Giuseppe e Maria condivisero la loro vita matrimoniale costantemente inseriti in una larga cerchia di parenti. E nondimeno, Giuseppe ebbe un compito che si svolse per lo più in una dimensione familiare. L’amicizia e la comunione con Maria, la condivisione delle fatiche e delle decisioni, il lavoro e la preghiera, gli interrogativi a lungo meditati per comprendere il mistero della presenza di Gesù e, più tardi, l’ascolto delle sue parole e l’aprirsi di un orizzonte nuovo nella fede che aveva ereditato dai suoi avi, queste furono le cose di cui visse Giuseppe.
Ma nella casa di Nazaret, ciò che è piccolo diventava ineffabile. Nelle piccole cose in cui fu chiamato a stare insieme a Maria, per anni, Giuseppe prestava infatti coscientemente il suo servizio all’opera inaccessibile di Dio che nella loro famiglia aveva preso il volto di un bambino.
Giuseppe ci introduce così nel mondo dell’amore da una angolatura privilegiata. La sua figura ci attira per la sua normalità e ci stupisce allo stesso tempo per la sproporzione tra ciò che gli fu chiesto e le naturali capacità umane.

Tutto ciò che di vero comincia sulla terra è destinato a durare per sempre.
La vita di un artigiano, passata tra una modesta officina o forse anche nei lussuosi cantieri dell’epoca, e una casa ricavata da una grotta, può contenere il seme di una gloria eterna. Ciò vale anche per la vita di molti di noi, che si svolge nella semplicità delle occupazioni di tutti i giorni, senza attirare l’attenzione, ma ospita l’evento di un amore vero e fedele.
«Certamente Cristo» ha scritto Bernardino da Siena con una delicatezza commovente, «non ha negato a Giuseppe in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell’altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l’ha portata al massimo della perfezione».
Cristo non negherà neppure a noi, che lo amiamo qui sulla terra come dolce amico e maestro, il suo sguardo eternamente pieno di affetto e di stima.

Articolo originale disponibile sul sito FSCB : http://sancarlo.org/vertigine-e-familiarita/